le FOTOle nostre foto e i nostri racconti

I resoconti dei nostri incontri e i nostri raduni corredati dalle relative foto. Un modo per condividere le nostre emozioni.

Polonia 2012

Fotografie del raduno di Biskupice

Io appartengo ad una generazione che non ha vissuto, per sua fortuna, la guerra.

Sono nato dodici anni (e qualche giorno) dopo il giorno della vittoria. Però la mia generazione, e quelli nati prima e poco dopo, ha avuto genitori che la guerra, loro sì, se la sono vissuta sulla pelle, in un modo o nell'altro, o perché sotto le armi o perché, da civili, ne hanno subìto in qualche misura gli orrori. Per cui ne ho sempre sentita raccontare la storia personale, quella fatta da episodi vissuti con mano, direttamente, quella che poi, unita a quella di altri, resa collettiva e studiata, è diventata la Storia (con la "s" maiuscola), quella che dovrebbe farci da maestra se non fossimo così scellerati da ignorarne gli insegnamenti. Per cui, una volta deciso che avrei partecipato al raduno in Polonia, mi sono detto "devo trovare il modo di andare ad Auschwitz".

Non è stato difficile accordarsi con gli altri miei compagni di viaggio. Ritornando dal raduno, dopo aver lasciato Byczyna, sulla strada per Cracovia, con una breve deviazione, siamo arrivati ad Oświęcim, il nome polacco di Auschwitz.

Auschwitz è uno di quei luoghi della memoria dove la Storia ti dà uno schiaffo a mano aperta, lasciandoti senza fiato.

Siamo entrati dal cancello tante volte visto nei film o nei documentari sull'Olocausto, quello di mattoni, con i binari che lo attraversano, in una bella giornata di sole polacca, calda e afosa, come e più delle nostre, e Massi, Ferro, Kika ed io seguivamo la giovane guida che ci raccontava quelle vicende, sentite tante volte ma ancora una volta nuove, di quell'inferno creato in terra da uomini per altri uomini. Beh, lo confesso, ad un certo punto mi sono emotivamente perso, schiacciato dall'enormità del luogo in cui ero, mentre, cauto, muovevo i miei passi sulle banchine dove, tanti anni prima, così tante vite sono state condotte al macello.

Questo è Auschwitz−Birkenau: un'efficiente macchina industriale che produceva sterminio.

Oggi, di quella macchina, restano le baracche, i fili spinati, le rovine dei forni crematori e, assurdo contrappasso estetico, un grande cielo azzurro che fa da tetto silenzioso ed estraneo.

Restano i visi, i volti, gli sguardi di alcuni di coloro che sono passati, fotografati con meticolosa precisione all'arrivo per documentare, chissà, l'eccellenza della capacità dei carnefici nell'eliminarli. Quasi tutti hanno la data di fine dopo pochi giorni, pochi arrivavano al mese o due. Ma quegli sguardi sono lì e ci guardano e li accusano, e ci accusano, noi, tutti. Accusano noi, in quanto uomini per cui capaci, alla fine, anche dell'orrore.

Non so se oggi, dopo tutto questo, possa ancora accadere qualcosa di analogo ad Auschwitz ma già il non essere sicuro, il non esserne matematicamente certo, beh, è già una risposta.

Del resto della giornata e della strada verso Cracovia, dove siamo giunti a sera, appena in tempo per vedere la finale dell'europeo di calcio, ricordo poco, ho guidato quasi in automatico, ripensavo alle parole lette tanti anni prima in un libro: "Se questo è un uomo" di Primo Levi. Parole che alla fine hanno trovato uno scenario reale, un contesto.

    "Considerate se questo è un uomo
    Che lavora nel fango
    Che non conosce pace
    Che lotta per mezzo pane
    Che muore per un sì o per un no."
Piero Niccolai